Pubblicato il 22 Ottobre 2024
Ottimo allestimento della patriottica Battaglia di Legnano nel Teatro Regio di Parma
Il paradigma č un cavallo servizio di Simone Tomei

20241022_Pr_00_LaBattagliaDiLegnano_AlessioVernaMarinaRebeka_phRobertoRicciPARMA - Nel 1849 Giuseppe Verdi presenta a Roma La Battaglia di Legnano, un'opera in quattro atti con libretto di Salvatore Cammarano. Ambientata nel 1176, durante la celebre battaglia in cui la Lega Lombarda sconfisse l'imperatore Federico Barbarossa, l'opera va oltre la semplice rievocazione storica, riflettendo profondamente lo spirito del Risorgimento italiano. Verdi, in piena sintonia con questo clima patriottico, utilizza la vicenda medievale per esprimere ideali di eroismo, sacrificio e amore per la patria.
I protagonisti, Arrigo, Rolando e Lida, sono intrappolati tra il dovere verso la loro terra e i legami personali, culminando nel sacrificio finale di Arrigo per la libertà. Musicalmente si distingue per le potenti melodie verdiane, i cori appassionati e un forte impatto drammatico, caratteristiche che esaltano il sentimento patriottico. Al suo debutto fu accolta con grande entusiasmo dal pubblico italiano, sebbene in seguito la sua popolarità sia andata scemando.
Questo lavoro verdiano nasce in un periodo di forte agitazione in Italia. Nel 1848 rivolte liberali scoppiarono in tutta Europa, e in Italia presero la forma di insurrezioni contro il dominio austriaco e papale. In questo contesto Verdi fu profondamente ispirato dagli eventi patriottici e sebbene non potesse partecipare direttamente ai moti, volle contribuire alla causa italiana attraverso la musica. Compose l'inno Suona la tromba su testo di Goffredo Mameli, sperando che potesse essere cantato durante le battaglie, ma la guerra era già finita quando l'inno fu completato. Fu invece il compositore Michele Novaro a scrivere quello che divenne l'inno nazionale, Fratelli d’Italia.

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Verdi, nel frattempo, cercava un modo più duraturo per contribuire alla causa italiana. Dopo aver sospeso un progetto con il Teatro San Carlo di Napoli, si rivolse nuovamente a Cammarano affinché creasse un libretto riflettente il clima politico del tempo. Inizialmente presero in considerazione diversi soggetti, ma alla fine scelsero di adattare la commedia francese La bataille de Toulouse di Joseph Méry, trasportandola però nel periodo della battaglia tra la Lega Lombarda e Federico Barbarossa. Cammarano arricchì il libretto con forti elementi patriottici, rendendolo ideale per il pubblico italiano dell'epoca.
Questa collaborazione tra Verdi e Cammarano si rivelò estremamente fruttuosa dando vita a un componimento che incarna pienamente lo spirito del Risorgimento e il desiderio di libertà e unità nazionale.

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Lo spettacolo parmense, nell’ambito del XXIV Festival Verdi, porta la firma della regista argentina Valentina Carrasco, distinguendosi per una visione audace e innovativa in cui la figura del cavallo emerge come protagonista paradigmatico dell'intero allestimento. Con un approccio moderno e simbolico l’animale diventa un emblema centrale della lotta per la libertà; il nobile animale più che un semplice strumento di scena, diventa quindi un elemento dai molteplici significati: forza, sacrificio e tensione verso la libertà. La regista lo utilizza in diverse forme – da sagome stilizzate a proiezioni video – per rappresentare non solo la dimensione militare della battaglia, ma anche il conflitto interiore dei personaggi e il desiderio collettivo di riscatto. Rappresenta quindi il motore della narrazione visiva: durante le scene di battaglia si fa metafora della violenza e del coraggio, contribuendo a rendere palpabile la ferocia del conflitto, e le sue movenze, ben coreografate, si intrecciano con la musica verdiana.
L’impianto scenografico di Margherita Palli, volutamente minimalista, esalta la centralità del cavallo. L'uso calibrato di luci e proiezioni visive conferisce all'animale una dimensione quasi onirica, trasformandolo in simbolo universale di resistenza. La gestione illuminotecnica curata da Marco Filibeck riesce a creare piccoli cammei emozionanti, come la memorabile entrata di Federico Barbarossa nella scena comasca del secondo atto. Meno appropriati i costumi di Silvia Aymonino che strizzano un po’ troppo l’occhio al primo conflitto mondiale del Novecento.
Sul versante vocale le prime parti hanno regalato grandi prestazioni.
Il soprano Marina Rebeka si è distinta per un'interpretazione straordinaria nel ruolo di Lida. Con una voce di grande potenza e precisione tecnica ha restituito tutta la complessità emotiva della donna, un personaggio tormentato dal conflitto tra amore e senso del dovere. Il suo binomio composto da fraseggio raffinato ed intensa capacità espressiva ha scolpito sin dal primo atto intense emozioni. Le sue doti vocali sono emerse con particolare forza nei passaggi più drammatici della partitura, dove ha sfruttato appieno la propria estensione e messo in luce il proprio timbro ricco di armonici, per dare enfasi ai sentimenti profondi e contrastanti del personaggio. Il controllo sugli acuti impeccabili e luminosi ha dato vita a momenti di rara intensità drammatica, dimostrando una perfetta padronanza del ruolo al suo debutto. Di pari passo la sua interpretazione scenica ha mostrato una Lida viva, autentica, in costante tensione tra passione e sacrificio.
L’Arrigo di Antonino Poli si distingue per grande intensità espressiva e precisione tecnica. La parte, una tra le più impegnative del repertorio tenorile verdiano, richiede non solo una voce potente e brillante, ma anche una capacità interpretativa che riesca a rendere la complessità emotiva di un giovane patriota diviso tra l'amore per la patria e l'affetto personale. Poli ha affrontato la sfida con notevole sicurezza facendo emergere la forza e il coraggio di Arrigo attraverso un timbro luminoso e squillante. I momenti eroici della partitura, in particolare quelli nei quali esprime la sua passione per l'Italia, sono stati resi con una brillantezza vocale capace di incantare il pubblico, regalando acuti vibranti e ben sostenuti.
Il baritono Vladimir Stoyanov ha offerto una performance eccezionale nel ruolo di Rolando, confermando ancora una volta il suo straordinario talento già ampiamente riconosciuto. L'interpretazione di Stoyanov colpisce per la profondità emotiva e la potenza vocale con cui rende il personaggio nella sua intensità e nel suo tormento. Con il suo timbro caldo, vellutato e ricco di dense sfumature riversa nel personaggio una profonda umanità, esprimendo in modo straordinario il conflitto interiore del protagonista, diviso tra l'amicizia fraterna con Arrigo e l'amore tradito da Lida. La sua voce, sempre sicura e impeccabile, ha brillato nei momenti di maggiore drammaticità, dove la sua capacità di scolpire ogni frase con precisione e intensità ha regalato al pubblico una lettura del personaggio di grande spessore. La ricchezza del suo registro medio e la facilità negli acuti hanno dato vita a una prestazione vocalmente impeccabile, mentre il fraseggio curato e la straordinaria capacità di modulare il suono hanno reso ogni aria e ogni scena profondamente coinvolgente. Il celebre momento del terzo atto "Mi scoppia il cor " è stato uno dei momenti più alti della serata, con Stoyanov che ha saputo fondere potenza e pathos, dando spazio al dolore e alla furia di un uomo devastato dalla scoperta del tradimento con intensità tale da far esplodere il teatro in un accorato applauso a scena aperta.
ll basso Riccardo Fassi ha dato vita a un memorabile Federico Barbarossa con una prestazione di grande spessore sia vocale che scenico. La sua interpretazione ha colpito il pubblico fin dal momento del suo ingresso spettacolare, in sella a un cavallo, irradiato da una suggestiva retroilluminazione che ha reso l'apparizione maestosa e imponente, rafforzando visivamente il carattere imperiale e dominante del personaggio. La sua voce profonda e ben proiettata ha restituito tutta la potenza e la determinazione dell'invasore incarnando perfettamente l’arroganza e il carisma. La solidità del suo registro grave ha dato corpo e forza alla sua interpretazione risultando molto convincente.
Alessio Verna è riuscito a dare spessore e carattere al ruolo di Marcovaldo, dimostrando una presenza scenica incisiva e una emissione sicura e brillante.
Non troppo bene i personaggi di fianco tutti allievi o ex allievi dell’Accademia Verdiana che hanno messo in luce vocalità ancora poco curate e spesso deboli: Emil Abdullaiev (Primo Console di Milano), Bo Yang (Secondo Console), Arlene Miatto Albeldas (Imelda) e Anzor Pilia (uno Scudiero di Arrigo e un Araldo).

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Il giovane M° Diego Ceretta ha guidato i complessi musicali del Teatro Comunale di Bologna con grandi intensità, fermezza e pathos, dimostrando una notevole maturità artistica e una profonda comprensione del linguaggio verdiano. Fin dalla sinfonia imprime un ritmo serrato e incisivo all'esecuzione, sottolineando con maestria il carattere eroico e patriottico della partitura, senza mai sacrificare la complessità emotiva dei momenti più lirici e intimi. Ha inoltre mantenuto uno stabile equilibrio tra orchestra e voci, valorizzando le linee vocali dei protagonisti senza mai coprirle, ma anzi accompagnandole con sensibilità e cura nei dettagli; gli va pure riconosciuta l’abilità nell’aver messo in risalto i contrasti tra le diverse sezioni dell'opera passando con naturalezza dalle esplosioni di energia delle scene belliche ai momenti più lirici e intimi.
Ottima anche la prova del Coro del Teatro Comunale di Bologna  - preparato e diretto dal M° Gea Garatti Ansini - che svolge in questo contesto un ruolo centrale alla stregua di personaggio collettivo. Le voci maschili, fondamentali nelle scene patriottiche e belliche, hanno saputo trasmettere con forza il senso di eroismo e orgoglio nazionale che Giuseppe Verdi ha voluto evocare, mentre le voci femminili hanno arricchito la tavolozza sonora con momenti di lirismo e delicatezza, specialmente nelle parti corali più intime.
Teatro in visibilio e festante per i saluti finali.
(La recensione si riferisce alla recita di domenica 20 ottobre 2024)

Crediti fotografici: Roberto Ricci per il Festival Verdi – Teatro Regio di Parma
Nella miniatura in alto: Alessio Verna (Marcovaldo) e Marina Rebeka (Lida)
Sotto in sequenza: Marina Rebeka, Antonino Poli (Arrigo), Vladimir Stoyanov (Rolando), Riccardo Fassi (Federico Barbarossa); bella istantanea di Roberto Ricci sui tre protagonisti principali
Al centro e sotto in sequenza: altre immagini su luci, scene e costumi di questa Battaglia di Legnano





Pubblicato il 17 Ottobre 2024
Prodotti dal Teatro Regio di Parma l'atteso Gala Verdiano e poi il Macbeth in scena con successo
Appunti dal Festival Verdi servizi di Angela Bosetto e Nicola Barsanti

20241017_Pr_00_GalaVerdiano+Macbeth_GiuseppeVerdiPARMA - Era il 10 ottobre 1813 quando, alle Roncole di Busseto, Luigia Uttini diede alla luce Giuseppe Fortunino Francesco Verdi, colui che, citando Gabriele D’Annunzio, avrebbe dato voce alla speranza e ai lutti, pianto e amato per tutti. Tradizione vuole dunque che, nell’ambito del Festival Verdi di Parma e Busseto, il decimo giorno del decimo mese dell’anno sia dedicato alla celebrazione del compleanno del Maestro. Ma la simbologia del numero dieci non si ferma qui, visto che nella cronologia operistica verdiana corrisponde a Macbeth, proposto quest’anno nella rara versione francese del 1865. Per riascoltare il “Macbetto” in lingua italiana, invece, basterà aspettare il Festival 2025, dedicato al legame fra Verdi e Shakespeare e articolato sui tre titoli tratti dal Bardo, ossia Otello, Macbeth (edizione 1847) e Falstaff.

 

20241017_Pr_01_GalaVerdiano_FrancescoLanzillotta_phRobertoRicciGALA VERDIANO – 10 ottobre 2024
servizio di Angela Bosetto
Potere e Politica. Sono questi i temi su cui è stato costruito il Festival Verdi 2024: due ambiti di stringente attualità sul piano sociale e culturale che, a maggior ragione, divengono il fulcro del Gala che celebra il 211° compleanno del Cigno di Busseto. Non a caso, i titoli a cui il programma attinge sono I vespri siciliani (di cui viene proposta l’Ouverture), Ernani (con l’esecuzione del terzo atto, ovvero “La clemenza”), Simon Boccanegra (del quale si è scelto il finale Atto I) e Don Carlo, che conclude il concerto con l’Autodafé che segna anche la fine del terzo atto.
Sul podio Francesco Lanzillotta che, (dopo l’applaudito debutto avvenuto lo scorso anno con I Lombardi alla prima crociata), torna a guidare l’Orchestra Filarmonica Toscanini in una felice serata che conferma quali siano i due poli del suo approccio alla concertazione verdiana: rigore e passione.
Stakanovista del Festival 2024 (che lo ha ingaggiato sia come Macduff in Macbeth, sia come Foresto in Attila), Luciano Ganci non ha alcuna esitazione nel mettere il proprio timbro solare al servizio del bandito Ernani (nobilmente fiero l’attacco di "Io son conte, duca sono"), di Gabriele Adorno e di Don Carlo, esibendo quello smalto e quella lucentezza che esaltano l’idealismo romantico dei suddetti personaggi tenorili verdiani.
Già allieva dell’Accademia Verdiana, Alessia Panza si impone per registro acuto, volume sopranile e ricchezza di armonici, delineando con cura Elvira ed Elisabetta di Valois, ma trovando il proprio apice interpretativo nel racconto di Amelia ("Nell’ora soave che all’estasi invita").
Impegnato anche nel ruolo di Attila a Fidenza, il basso Giorgi Manoshvili sfoggia una vocalità di bel colore e un accento di tutto rispetto, uniti a un carisma che, a dispetto della giovane età, lo rende credibile nei panni dei vecchi Silva e Jacopo Fiesco, nonché di Re Filippo II.
In omaggio alla predilezione che Verdi riservava ai baritoni, sono ben tre gli artisti che si alternano nei ruoli principali riservati a questo tipo di vocalità: il misurato Vladimir Stoyanov (un Carlo V altero e malinconico, specialmente nell’aria "Oh de’ verd’anni miei"), il mattatore Luca Salsi (festeggiatissimo dal pubblico parmigiano, che ripaga con un magistrale Simon Boccanegra) e il promettente Lodovico Filippo Ravizza, chiamato a coprire gli interventi di Rodrigo nell’Autodafé.

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Eugenio Maria Degiacomi si disimpegna onorevolmente come Jago e Paolo Albiani, affiancato dal Don Riccardo di Cristiano Olivieri e dal Pietro di Rocco Cavalluzzi. Positivi anche  i contributi dell’Araldo di Anzor Pilia e della Voce dal cielo di Fan Zhou.
A dispetto della posizione sul palco, nessuno può mettere in secondo piano l’amatissimo Coro del Teatro Regio di Parma (ottimamente preparato dal M° Martino Faggiani), che diviene protagonista grazie al celebre inno patriottico "Si ridesti il Leon di Castiglia" e al doppio coro dell’Autodafé ("«Spuntato ecco il dì d’esultanza" e "Il dì spuntò, dì del terrore"). Applausi torrenziali, tante richieste (purtroppo non esaudite) di bis e una certezza: di Giuseppe Verdi non se ne ha mai abbastanza.

MACBETH (Versione francese 1865)  – 13 ottobre 2024
servizio di Angela Bosetto e Nicola Barsanti
Dopo essere stata eseguita a Parma in forma di concerto nel settembre 2020 (protagonisti Ludovic Tezier e Silvia Dalla Benetta), la versione francese di Macbeth si guadagna la prima ripresa scenica in tempi moderni. Un’operazione decisamente interessante se si considera che, nella traduzione di Charles Louis Étienne Nuitter e Alexandre Beaumont, il libretto di Francesco Maria Piave perde parzialmente la propria dimensione viscerale e atavica in favore di una lettura cerebrale e politica. Più che ricreare passo per passo le intuizioni formidabili dell’opera verdiana, ai librettisti d’oltralpe interessa trasportare la tragedia di William Shakespeare all’interno della propria dimensione culturale e linguistica, complici un suono diverso e, a livello consonantico, più morbido.
Se, invece, si vuole semplificare al massimo, oltre al leggero (e necessario) cambio di metrica, le modifiche che saltano subito all’occhio (e all’orecchio) sono due: l’inserimento del lungo ballabile all’interno del terzo atto e l’eliminazione del legame fra Lady Macbeth e il sovrannaturale.

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Curiosamente, però, la regia di Pierre Audi mantiene la lettura della “strega suprema” (cit. Goethe),  rendendo la consorte dell’usurpatore parte integrante del sabba e moltiplicandone la figura in tre streghe danzanti, le cui movenze (coreografate da Pim Vuelings) richiamano il rapporto turbolento con il marito e alla passata gravidanza (a cui il Bardo riserva l’enigmatica frase “Ho allattato e so quanto è tenero il bimbo che succhia”). Al netto di alcuni didascalismi (dalle sedie rotanti che alludono al “gioco del trono” all’uso del metateatro per rimarcare il fatto che “la vita non è che un’ombra che cammina, un povero attore che si pavoneggia e si agita su un palcoscenico per il tempo a lui assegnato”) e qualche insensatezza (tipo la presenza di Macbeth durante la cavatina della sua sposa, la bara che esce dalle stanze del Re già pronta per il funerale o l’inventata prigionia con tortura di Banquo e figlio), l’allestimento scorre nel segno di un cupo simbolismo, combinando le scene asettiche e geometriche di Michele Taborelli con i costumi atemporali di Robby Duiveman (che mescolano liberamente Ottocento e Novecento). Nella costruzione dell’atmosfera, giocano un ruolo cruciale sia le luci espressioniste di Jean Kalman e Marco Filibeck, sia la fisicità dei due protagonisti, che si rivela particolarmente azzeccata dal punto di vista dell’interazione scenica.
Da una parte, abbiamo il roccioso e terreno Macbeth di Ernesto Petti, il cui vigore timbrico e la misura interpretativa restituiscono l’umano tormento del soldato che trionfa sul campo di battaglia, ma nulla può contro l’insidiosa seduzione del potere e della moglie.
Dall’altra si staglia la flessuosa e serpentina Lidia Fridman, dotata di un fascino “alieno” e di una voce tanto florida quanto peculiare, capace di farsi aspra, tagliente e diabolica, quindi perfetta per Lady Macbeth.
Grave e autorevole (come è d’uopo) il Banquo di Riccardo Fassi (la cui vicinanza d’età con Petti/Macbeth rende ancora più inaccettabile il tradimento subito), spavaldo e generoso il Macduff di Luciano Ganci (che la regia ammanta di una sottile ambiguità), ben centrato il Malcolm di David Astorga.
Completavano il cast Natalia Gavrilan (la Comtesse), Rocco Cavalluzzi (il Medico), Eugenio Maria Deigiacomi (nel triplice ruolo di Servitore, Sicario e Primo spettro), Agata Pelosi e Alice Pellegrini (Secondo e Terzo fantasma).
Senza nulla voler togliere ai membri maschili del Coro guidato da Martino Faggiani, diamo a Cesare quel che è di Cesare e alla streghe quello che è loro: bravissime.
Come nel Macbeth francese allestito nel 2020, il podio spetta a Roberto Abbado, che proprio grazie all’incisione di quel concerto su disco ha vinto il Premio Speciale della Critica Musicale Franco Abbiati. La sua lettura si impone per la grande eleganza e teatralità, impreziosita dalla raffinatezza di dinamiche e colori.
Successo vivissimo per tutti e continue chiamate alla ribalta da parte del pubblico entusiasta.

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Crediti fotografici: Roberto Ricci per il Festival Verdi - Teatro Regio di Parma
Nella miniatura in alto: un ritratto d'epoca di Giuseppe Verdi (autore anonimo)
Sotto: il maestro Francesco Lanzillotta che ha diretto il Gala Verdiano e foto d'assieme solisti, orchestra, coro
Al centro in sequenza: il maestro Roberto Abbado che ha diretto il Macbeth versione 1865; Lidia Fridman (Lady Macbeth) ed  Ernesto Petti (Macbeth); panoramica su un assieme
In fondo: altre panoramiche su due assiemi del Macbeth 1865 dato a Parma





Pubblicato il 29 Settembre 2024
Lodevole iniziativa ad Arezzo per promuovere giovani cantanti e la passione per la lirica
Schicchi nelle Stanze dell'Opera servizio di Simone Tomei

20240929_Ar_00_GianniSchicchi_MarioCassiAREZZO - Si è “consumata” nel Teatro Petrarca della città toscana una lodevole iniziativa locale che ha portato alla messinscena di un capolavoro pucciniano facente parte del celeberrimo Trittico: il Gianni Schicchi. L’iniziativa ha annoverato due aspetti interessanti e particolari.
In primis nel cast erano presenti molti talenti del progetto di specializzazione “Le Stanze dell’Opera” - promosso da Fondazione Guido d’Arezzo - che è scuola di specializzazione per giovani cantanti lirici e musicisti con ha l’obiettivo di rendere il mondo dell’Opera accessibile a chiunque lo desideri.
Inoltre per l’occasione Confindustria FEDERORAFI forniva agli artisti e alle artiste 60 monili di brand dell’oreficeria e gioielleria da tutta Italia; i preziosi erano realizzati anche da giovani promesse dell’oreficeria.
È in questo corroborante contesto che l’opera comica di Giacomo Puccini nel centenario della sua morte, (rappresentata al Metropolitan di New York per la prima volta nel 1918), ha preso vita nella terra del Petrarca con una nuova produzione fortemente voluta dalle istituzioni della città.
Ma cos’è nello specifico questo progetto “Le stanze dell’Opera”? Soddisfiamo la nostra curiosità con le parole del baritono Mario Cassi che nel 2022 ne fu l’anima fondante.
Dice Cassi: «… pensare un progetto didattico per l'Opera, da realizzare nei bellissimi locali di Ca.Mu. un vero gioiello che provoca profonda ammirazione in chi visita Arezzo per la prima volta. Erano anni che mi accarezzava l'idea di realizzare ad Arezzo una Casa per l'Opera, un progetto che allo stesso tempo desse a tanti giovani, provenienti da tutte le parti del mondo la possibilità di perfezionarsi insieme a grandi docenti (figure di livello internazionale come Katia Ricciarell, Vessellina Kasarova, Lucio Gallo, Giuseppe Gipali, Eleonora Pacetti, Maurizio Scardovi, Silvia Gasperini) e offrisse alla città una stagione lirica, che manca ahimè da troppo tempo. Al progetto hanno aderito con entusiasmo docenti internazionali che da Marzo scorso hanno cominciato a lavorare su un gruppo sempre più consistente di allievi provenienti da tutte le parti del mondo, dallo Sri-Lanka all'Argentina, nonché da varie regioni d’Europa Non è mancato l'appoggio concreto di un gruppo di mecenati aretini che hanno accompagnato i nostri giovani nel loro percorso, sostenendoli economicamente, venendo periodicamente ad ascoltarli, in quello che alla fine si è rivelato essere uno scambio proficuo di energie e idee
La regista di Manu Lalli (coadiuvata per le scene da Daniele Leone ed il disegno luci di Giuseppe Filipponio) ha messo una cornice dorata intorno a questo bellissimo progetto realizzando un allestimento scenico di gusto, fedele al tempo della narrazione ed al libretto, ma con piccoli accorgimenti che lo hanno ancor di più impreziosito.
 

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Per Manu Lalli quest’opera è «… un affresco scanzonato e disincantato delle miserie umane; ognuno dei protagonisti, dal più piccolo al più maestoso, rappresenta infatti un ‘carattere’. Il vile, il pavido, l’appassionato, l’arrogante, la timida, la bella, l’avida piena di pregiudizi, l’intrigante e l’ingenuo.
Il pubblico guarda come in uno specchio le proprie caratteristiche, e alle volte vi si riconosce. Ogni volta che è messa in scena, l’opera muta, cresce, si rinnova con la presenza, la voce, il sudore, il corpo di coloro che la interpretano e che la vivono sul palcoscenico come se fosse la prima volta. Con nuove interpretazioni e nuovi spunti per raccontarla, scovando cose che, forse, erano rimaste in ombra fino ad allora. E ognuna di queste interpretazioni ha un valore, una ragione. Una nuova verità.
Giacomo Puccini si è sempre occupato delle piccole cose, non degli eroi, non dei grandi, ma delle persone comuni, dei bohémiens, degli umili, dei sognatori, dei perdenti. Ma ha parlato sempre della loro intimità, dei loro fallimenti, delle loro speranze. Dei loro sogni. È questo che fa di "Gianni Schicchi" un capolavoro. Un grande affresco pieno di simboli che come tali possono essere interpretati per tentare di spiegare il nostro vivere presente

Per l’aspetto musicale vorrei partire proprio dalla mano esperta del M° Fabrizio Carminati che ha diretto con grande maestria il capolavoro pucciniano, mettendo in luce un’interpretazione precisa ed equilibrata in cui ha saputo esaltare sia le sfumature comiche che quelle più drammatiche dell'opera. La sua bacchetta ha guidato l’Orchestra della Toscana con un senso del ritmo impeccabile, garantendo una perfetta sintonia tra buca e palcoscenico. È riuscito a valorizzare la complessità della partitura, seppur con un organico ridotto, mantenendo sempre viva la freschezza della narrazione musicale e accompagnando i cantanti con una sensibilità che ha permesso loro di esprimersi al meglio, senza mai sovrastare le voci. Ha dimostrato inoltre grande attenzione alle dinamiche e ai dettagli strumentali, riuscendo a creare momenti di grande intensità ma anche di leggerezza, che sono elementi fondamentali in  questo atto unico. Non è venuto meno il lato più brillante e satirico dell’opera, senza mai perdere di vista il raffinato ed innovativo linguaggio musicale di Puccini.
Deus ex machina di questo ambizioso progetto, come già accentato sopra, è stato Mario Cassi raffinato interprete del title-rôle. Il baritono aretino ha offerto un’interpretazione eccellente dello scaltro fiorentino che “viene dal contado”, conquistando il pubblico con presenza scenica e vocalità ricca e ben controllata. La sua caratterizzazione del personaggio è stata impeccabile, riuscendo a catturare con intelligenza e sottigliezza sia il lato ironico che quello più astuto e manipolatore. Dal punto di vista vocale, ha sfoggiato una voce potente e agile, perfettamente calibrata, mostrando una grande padronanza tecnica, mantenendo un’elegante fluidità nei passaggi più complessi e sapendo dosare con maestria le sfumature del suo timbro, in perfetta sintonia con la partitura pucciniana. Il suo carisma sul palco ha dato vita dunque ad un personaggio credibile e brillante, capace di far ridere, ma anche di affascinare con la sua furbizia.
Ottimi i ragazzi del progetto "Le stanze dell’Opera" per i quali l’encomio è totale: Joachim Coffinier-Barry (Maestro Spinelloccio e Messer Amantio Di Nicolao), Joaquín Cangemi (Gherardo), Gesua Gallifoco (Lauretta), Elizabeth Madama/Stefania Paddeu (Nella), Virginia Moretti (Ciesca), Kwangsik Park (Simone), Francesco Rafanelli (Marco), Elisabetta Ricci (Zita) e Diego Savini (Betto).
A fianco di questi, altri artisti hanno completato il cast: Lorenzo Martinuzzi (Pinellino), Marco Bredemeier (Guccio), Marco Burberi nel ruolo muto di Buoso Donati e Sara Lucherini (Gherardino).
Due parole mi sento in dovere di spenderle per il tenore Lorenzo Martelli che sta percorrendo la strada maestra per una lodevole e foriera carriera: egli infatti ha offerto una performance straordinaria nel ruolo di Rinuccio, dimostrando un controllo vocale impeccabile. Il suo fraseggio era fluido e naturale, capace di trasmettere le sfumature emotive del personaggio con grande delicatezza. La tenuta del fiato è stata ammirevole, permettendogli di sostenere le lunghe frasi musicali con una facilità disarmante. Inoltre la sua voce limpida e potente ha dato luce al palcoscenico, trasmettendo ad arte la gioiosa ingenuità e l'entusiasmo del giovane innamorato.
Una serata è stata salutata dal pubblico con grande entusiasmo e calorosi applausi per tutti.
(La recensione si riferisce all’unica recita del 27 settembre 2024)

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Crediti fotografici: Ufficio stampa "Le stanze dell'Opera"
Nella miniatura in alto: il baritono Mario Cassi (Gianni Schicchi)
Sotto in sequenza: panoramiche su scene e costumi dell'allestimento aretino





Pubblicato il 23 Settembre 2024
Il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino ripesca l'opera di Rossini disegnata della Manu Lalli
La solita bella Cenerentola servizio di Simone Tomei

20240923_Fi_00_LaCenerentola_TeresaIervolino_phMicheleMonastaFIRENZE - È tornata in scena al Teatro del Maggio Fiorentino La Cenerentola di Gioachino Rossini nell’ormai storico allestimento della regista Manu Lalli, scene di Roberta Lazzeri, costumi di Gianna Poli e luci di Vincenzo Apicella riprese da Valerio Tiberi. Ho parlato di questa mise-en-scene in due precedenti visioni del 2017 e 2018 alle quali vi rimando e qui mi occuperò solamente dell’aspetto musicale con interpreti di rilievo che hanno popolato il palcoscenico del teatro fiorentino componendo un cast di grande livello.
L'esordio di Don Ramiro, ottimamente interpretato dal tenore Patrick Kabongo, è stato un momento di grande eleganza e raffinatezza. La sua voce, dal timbro accattivante e dall'emissione morbida, ha conferito al personaggio un'aura di nobiltà e tenera sensibilità; ha dimostrato un profondo legame con la partitura, servendo sempre al meglio il testo con canto coeso e coinvolgente.
William Hernández ha offerto un’interpretazione di Dandini che mi ha colpito per raffinata e matura musicalità. La voce, con sonorità calda e avvolgente, si è distinta per emissione precisa e nitida, capace di modulare con maestria le più sottili sfumature talvolta grottesche del personaggio. L'intonazione impeccabile e la dizione cristallina hanno messo in luce ancor meglio un dominio tecnico di gran livello, esaltando la comicità e la vivacità della parte.

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Marco Filippo Romano si è confermato, ancora una volta, interprete di straordinaria levatura nel ruolo di Don Magnifico. La sua performance, ricca di sfumature e di una ilarità raffinata ha entusiasmato il pubblico, rivelando talento vocale e interpretativo di primissimo livello. L’emissione ha dominato il palcoscenico con una potenza e una chiarezza che hanno reso ogni parola perfettamente intellegibile nonostante la troppa speditezza dell’orchestra. L'intonazione impeccabile e la dizione cristallina permettevano di apprezzare appieno la maestria tecnica dell'artista, capace di modulare la voce con agilità e di esprimere le intenzioni del personaggio. Grazie ad un’interpretazione scenica da manuale ha dato vita ad un Don Magnifico memorabile, caratterizzato da una comicità esuberante ed una gestualità ricca di sfumature. Un artista che richiama alla mente i grandi baritoni del passato, come Sesto Bruscantini, ma allo stesso tempo si distingue per una freschezza e un'originalità che lo rendono unico. È un vero maestro del repertorio buffo, non temendo di dire… forse il migliore.
Il basso baritono Matteo D’Apolito ha dato prova di una padronanza tecnica e interpretativa eccezionale nel ruolo di Alidoro. L'aria “Là del ciel nell'arcano profondo”, è stata affrontata con sicurezza e precisione sottolineando le qualità vocali dell’interprete; ottime la cura del fraseggio e la bellezza del legato.
Teresa Iervolino, nel ruolo di Angelina, brilla per eccellente padronanza vocale e interpretativa. La voce, dal timbro ricco e pastoso, ha valorizzato la scrittura rossiniana, caratterizzata da agilità virtuosistiche e da ampie linee melodiche. Nell'aria finale, l'artista ha esibito una tecnica vocale salda che evidenziando a chiare lettere la sua maturità artistica in questi ruoli molto affini alle sue corde.
Completavano il cast in maniera impeccabile Maria Laura Iacobellis (Clorinda) e Alessandra Meteleva (Tisbe).
Il coro maschile preparato e diretto dal M° Lorenzo Fratini ha offerto un contributo straordinario all’economia della rappresentazione. Le voci, unite e precise, hanno creato un'atmosfera ricca di vivacità e di colore, esaltando le particolarità della parte. Ogni entrata è stata puntuale e incisiva, dimostrando un'ottima preparazione e una grande coesione.
La direzione del M° Gianluca Capuano, pur dimostrando una solida tecnica e una grande energia, ha incontrato alcune difficoltà nel trovare un equilibrio con i cantanti. I tempi, a tratti eccessivamente veloci, hanno messo a dura prova le esperte vocalità, compromettendo in alcuni momenti la chiarezza dell'espressione e la bellezza del suono. Sarebbe stato auspicabile una maggiore sensibilità alle esigenze del palcoscenico, soprattutto nei passaggi più delicati. La collaborazione tra direttore d'orchestra e cantanti è fondamentale per la riuscita di una rappresentazione, e in questo caso non sempre si è avvertita una sintonia perfetta. La direzione, concentrandosi su un'interpretazione più dinamica, ha sacrificato in alcuni momenti l'aspetto drammaturgico.
Una maggiore flessibilità avrebbe permesso una migliore intelligibilità del costrutto melodrammatico permettendo agli interpreti - che già hanno brillato di luce propria - di esprimere al meglio le proprie peculiarità canore e di valorizzare la bellezza delle melodie.
Grande entusiasmo del pubblico con applausi ed ovazioni per tutti.
(la recensione si riferisce alla recita di domenica 22 settembre 2024)

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Crediti fotografici: Michele Monasta per il Teatro dell'Opera - Maggio Musicale Fiorentino
Nella miniatura in alto e sotto: Teresa Iervolino (Angelina, la Cenerentola); ancora la Iervolino con
William Hernández (Dandini)

Sotto, in sequenza: Maria Laura Iacobellis (Clorinda), Marco Filippo Romano (Don Magnifio), Alessandra Meteleva (Tisbe);
William Hernández; Marco Filippo Romano e Patrick Kabongo (Don Ramiro)
In fondo: bella panoramica di Michele Monasta su scene e costumi
 





Pubblicato il 22 Settembre 2024
A Livorno non convincono le scelte drammaturgiche che mischiano due opere affatto diverse
Cavalleria e Schicchi buon cast mala regia servizio di Simone Tomei

20240922_Li_00_CavalleriaRusticana_DonataDAnnunzioLombardi_phEmanueleBaldanziLIVORNO - Il Festival Mascagni di Livorno 2024 si è chiuso con la rappresentazione delle opere Cavalleria rusticana e Gianni Schicchi, portando sul palco due compositori toscani di spicco: Pietro Mascagni e Giacomo Puccini. Per quale motivo si è scelto di accostare due opere così distanti tra loro? Lo spiega il direttore artistico del Festival, Marco Voleri: “Due titoli, due visioni del mondo, due modi diversi di raccontare la vita. Eppure, insieme, creano un dittico che esplora sia i nostri lati migliori che quelli peggiori”. Due opere distanti e che tali sarebbero dovute rimanere, ma il regista Giandomenico Vaccari ha voluto trovare un trait d’union che non esiste e né esisterà.
Il letto di Buoso Donati e la sua figura umana non possono far parte dell’opera mascagnana solo per il fatto di aver voluto accostare i due titoli; il ricco fiorentino non mi sembra personaggio da far girovagare per le campagne siciliane aspettando l’inizio dell’opera mascagnana. La sua discesa dall’alto in un letto calato all’interno della chiesa in festa per il giorno di Pasqua, mi è apparsa alquanto bizzarra e fuori luogo, ma tanto è stato.
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Nel capolavoro pucciniano la regia ha poi toccato il suo culmine kitsch trasformando la sottile e beffarda ironia che pervade tutta l’opera in una becera rozza comicità in cui gesti, atti e rumori non necessari - la voce del piccolo Gheradino sovrasta quella dei cantanti nella prima parte - hanno prevalso durante tutta la rappresentazione.
In questo contesto assai deludente facevano ottimamente da contorno le scene di Marina Conti e l’impianto luci curato da Michele Rombolini; poco attraenti anche i costumi della Sartoria Teatrale Bianchi: in stile per Cavalleria rusticana, anni sessanta per lo Schicchi.
La direzione musicale del M° Marcello Mottadelli ha saputo imprimere un carattere energico e spedito per il titolo mascagnano, in cui la tensione narrativa è andata di pari passo con l’esecuzione musicale, trascinando lo spettatore nel finale travolgente e drammatico; le sonorità si sono rivelate sempre in linea con il canto e si è consumato un proficuo dialogo con il palcoscenico. Nello Schicchi, la situazione si è fatta leggermente più difficile a causa di un cast - di cui dirò dopo - tra le cui peculiarità non vi era certo l’accuratezza nel solfeggio. Il tutto si è risolto comunque in maniera più che dignitosa con timbriche e nouances molto raffinate.

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Veniamo al cast dei due titoli:
Donata D’Annunzio Lombardi nel ruolo di Santuzza mette in evidenza una grande intensità emotiva, supportata da un'ottima padronanza tecnica e da un timbro sempre appropriato ai vari interventi; passione, delusione, scoramento diventano quindi il suono della sua anima gestito con istrionica professionalità.
Il Turiddu di Paolo Lardizzone promette bene sin dalla “Siciliana” cantata fuori scena; emergono un timbro di pregevole qualità e una voce particolarmente potente. Anche l’approccio scenico è risultato convincente ed il nitore degli acuti, unito ad un fraseggio da manuale ha incorniciato una serata da ricordare.
Massimo Cavalletti è prima un Alfio e poi un Gianni Schicchi che sa difendersi bene fino a che la tessitura non sale nella zona più impervia; nella parte centrale il colore della voce è sublime ed anche il fraseggio trova una cura molto attenta; l’ascesa agli acuti risulta però alquanto faticosa e spesso il suono torna indietro e risulta piuttosto ingolato e privo di armonici.
Ieratica e magnetica la Mamma Lucia di Valentina Pernozzoli, ma meno convincente - a causa di un atteggiamento alquanto sguaiato registicamente che ha influito anche sulla vocalità - nella parte della Zita.
Di pregio la Lola di Mariangela Zito.
Il componimento pucciniano oltre agli artisti già menzionati ha avuto al suo interno un cast tendenzialmente giovane e poco esperto da quello che ho potuto ascoltare. Ottimo l’impegno di tutti, ma la poca dimestichezza con il palcoscenico e notevoli difficoltà di solfeggio hanno un tantino tradito lo spirito dell’opera. Mi limito a citarli tutti per dovere di notizia, senza soffermarmi sulle peculiarità individuali che non darebbero, né toglierebbero niente a quanto detto in generale: Ding Yu (Rinuccio), Simona Pia Ritoli (Lauretta), Pedro Pires (Gherardo), Sara Fogagnolo (Nella), Omar Falaschi (Gherardino), Marcandrea Mingioni (Betto di Signa), Bozhidar Bozhkilov (Simone), Hitoshi Fujiyama (Marco), Federica Venturi (La Ciesca), Arsène Min Kuang (Maestro Spinelloccio / Pinellino), Michele Pierleoni (Ser Amantio di Nicolao) e Pavel Morgunov (Guccio).
Il Coro presente solo in Cavalleria rusticana, assolve con onore il suo impegno preparato e diretto dal M° Maurizio Preziosi.
Il teatro pieno, ma non gremito, decreta un lusinghiero successo per tutti.
(La recensione si riferisce alla recita di venerdì 20 settembre 2024)

Crediti fotografici: Emanuele Baldanzi per il Festival Mascagni di Livorno
Nella miniatura in alto: Donata D'Annunzio Lombardi (Santuzza)
Sotto in sequenza: Paolo Lardizzone (Turiddu); Donata D'annunzio Lombardi;  ancora Donata D'Annunzio Lombardi con Valentina Pernozzoli (Mamma Lucia); Paolo Lardizzone e Valentina Pernazzoli
Al centro e sotto in sequenza: belle panoramiche di Emanuele Baldanzi su scene luci e costumi di Cavalleria rusticana e Gianni Schicchi






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Il telefono, la tua voce...
intervento di Athos Tromboni FREE

20241221_Ro_00_LaVoixHumaine_EkaterinaBakanova_phNicolaBoschettiROVIGO - La voix humaine. Testo intrigante, regia deludente. Pubblico sparuto in sala e nei palchi del Teatro Sociale; comunque plaudente, quindi soddisfatto. Grazie a Ekaterina Bakanova. Si potrebbe liquidare così, la recensione: con un twett... ah... oggi non c'è più twitter, c'è X... allora come si dice? Si potrebbe liquidare così, la recensione: con una X. Però il pronunciamento del cronista deluso va spiegato, non si può liquidare con una X.
Dunque, cominciamo dal principio, partendo dalla fonte: Jean Cocteau ha scritto per il teatro di prosa La voix humaine nel 1930, poi Francis Poulenc ci ha messo la musica nel 1958. E il vero protagonista della pièce è il telefono. Il telefono a filo. Quello che non ti consente spostamenti oltre la lunghezza del cavo che collega la presa a muro all'apparecchio. Fosse anche (come hanno fatto alcuni registi in anni passati) un filo lunghissimo. Ma un filo. E una cornetta.
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La Euyo prende residenza a Ferrara e Roma

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E il Regio si prende Battistoni
redatto da Athos Tromboni FREE

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20241127_Fe_00_Stagione2025CircoloNegozianti_ChristianSacconFERRARA - Il Comitato per i Grandi Maestri fondato e diretto dal prof. Gianluca La Villa, dopo un periodo di pausa, riprenderà nel 2025 l'attività con una serie di appuntamenti musicali principalmente a Ferrara, nel salone nobile di Palazzo Roverella (Circolo dei Negozianti), ma anche a Lucca, nella Chiesa dei Servi. Si tratta di cinque concerti
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Vissi d'arte. Vissi per Maria
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20241120_Fe_00_VissiDArteVissiPerMaria_MariaCallasFERRARA - Non è facile evocare il mito di Maria Callas portando in scena uno spettacolo che la racconta, senza sporcare o comunque pasticciare impropriamente i contenuti di quella che fu la vita turbinosa e la virtù artistica della grande cantante. Ci hanno provato i componenti del trio Ensemble Musica Civica con Dino De Palma (violino), Luciano
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Nell'ambito della giornata dedicata a
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